Per governare la cosa pubblica non basta la cosidetta “società civile”
di Livio Grapulin
All’avvicinarsi degli appuntamenti elettorali per l’elezione del Sindaco o del Presidente della Regione accade sovente di trovarsi coinvolti in un dibattito, spesso anche animato, attorno alla valenza sia sul piano dei principi che su quello più pragmatico della convenienza elettorale, delle cosiddette liste civiche che sempre più spesso si accompagnano a quelle dei partiti, o nei centri minori talvolta le sostituiscono, nella corsa all’elezione dei candidati Sindaci o dei cd Governatori.
Ed è questa una questione di non poco conto poiché, attraversando e coinvolgendo temi inerenti la gestione della cosa pubblica, in parte trattati con eccessiva superficialità e con punte di facile e forse inconscio populismo, si arriva a sottovalutare o, addirittura non considerare, il nucleo fondamentale ed essenziale di riflessione.
E’ chiaro infatti che l’importanza assegnata alle liste civiche, da considerare, anche storicamente, come movimento d’opinione, scevro da ideologismi e rivolto unicamente alla possibile soluzioni di problemi concreti nell’ambito locale, si contrappone alla visione dell’impegno sociale
e quindi politico condotto da una struttura organizzata quale il partito politico.
E fa sicuramente aggio a questa contrapposizione, da un lato la facile ma spesso corretta critica alla degenerazione nella conduzione dei partiti troppo sensibili ad interessi personali nonché ai fenomeni corruttivi nel tempo manifestatisi, dall’altro l’altrettanto sostenibile critica alla cosiddetta “società civile”, panacea di tutti i mali nella gestione della cosa pubblica, come se per essere capaci di ben gestirla sia necessario non essere un politico, come se “far politica” dovesse prescindere dalle competenze, talvolta specifiche, nell’amministrazione della cosa comune frutto di un bagaglio culturale e di esperienze nel sociale proprie del partito politico.
Ma questo dibattere, comunque interessante, rischia di portarci fuori strada e di omettere di considerare quello che ritengo essere il punto nodale della questione e cioè l’obbligata considerazione del dettato costituzionale sul punto.
Ed è comunque chiaro, o dovrebbe esserlo, che qualsiasi riflessione sull’importanza del partito politico non possa prescindere dalla funzione che la nostra Carta Costituzionale gli assegna. Vi si legge all’art. 49 che “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
E considerando ciò che a noi rileva, l’analisi va ristretta alla funzione che i costituenti hanno assegnato al “partito” nel quadro istituzionale da loro delineato: quella del concorrere – in modo democratico – a determinare la politica del paese, individuando in questa attività un fondamentale contributo alla formazione delle decisioni politiche. E tutto ciò non è irrilevante, anzi, perché il concorso alla determinazione politica di cui alla norma costituzionale, non può che prevedere, come necessarie, specifiche competenze dei dirigenti di partito e dei suoi funzionari e l’impiego di strutture organizzative efficienti e permanenti.
Ciò non vuole essere richiamo a vecchie formule partitiche ormai sorpassate, bensì l’obbligato rispetto del dettato costituzionale. Ed in questo senso debbono pure ritenersi necessarie quelle ulteriori attività, costituzionalmente volute nell’ottica sopra indicata, inerenti l’organizzazione politica dei cittadini attraverso proposte politiche ispirate da principi e valori condivisi e la miglior selezione del personale politico agli incarichi pubblici e di rappresentanza. E se ciò è vero, risulta evidente che nella formazione della classe politica non è sufficiente l’apporto del civismo, seppur diffuso, né può esser condivisa l’intenzione di ritenerlo sostitutivo alla figura del partito politico. E con ciò non si vuole di certo negare legittimità all’azione dei civici, pure attrattori di un certo consenso popolare, ma semplicemente osservare che l’azione amministrativa, soprattutto nel lungo periodo, non può assolutamente prescindere da un agire politico ispirato a linee di condotta collaudate dall’esperienza e coerente con i principi e valori che di quella linea politica debbono sempre dar testimonianza.